America post bellica, il reddito delle famiglie americane sempre più alto, enormi cartelloni tappezzano le strade delle più grandi metropoli, star del cinema , marche famose , oggetti seriali: questa è la scenografia degli anni 60.
L'opera in questione fa parte di una serie di fotografie intitolate "little electric chair" mai pubblicate dalla stampa per la loro crudezza.
Questa serie è un "pugno nello stomaco" per lo spettatore, l'utilizzo di colori complementari, la posizione dell'oggetto, unico elemento presente nella scena, l'impersonalità della stanza, spoglia e sporca, tutto risalta all'occhio di chi osserva, tutto questo serve solo a ritardare la verità sull'immagine che sto guardando. l'immagine di una sedia elettrica, un mezzo di morte. La parola giusta per descrivere quest'opera è grottesco, ma anche reale, e quindi è proprio la realtà in cui viviamo ad essere grottesca, una sedia elettrica esiste, è reale, in quegli anni non ne avevano consapevolezza troppo presi dai cartelloni pubblicitari, dalle riviste , dall'economia. Non penso che queste fotografie così proposte e così ideate avessero lo scopo di denuncia sociale ma sono state più una sfida nei confronti di quella società annebbiata e soggiogata dai bei colori, ma quest'opera è ancora attuale, ed è forse questo lo scopo dell'arte.
Nero, Alberto Burri, 1961
La tranquillità, apparente,
altalenante (pieghe del materiale), ma comunque "costante".
L' irrequietezza, l'irregolarità, gli "imprevisti", in parte minore
ma lì in alto comunque presente.
Le saldature, come cicatrici che da una parte richiudono e uniscono, ma
dall'altra lasciano un segno.
Il nero come colore per rappresentare un qualcosa di reale, una realtà scomoda
ma che esiste inevitabilmente.
Ciò che provo guardando quest'opera è ciò che sento quando rifletto su come è
fatta la vita: gran parte di essa - e ciò a cui si aspira- è fatta di
serenità, del poter dire "va tutto liscio", con qualche salita da
dover superare, ma con una rispettiva discesa. Queste "increspature"
sono causate probabilmente dalla saldatura, che io vedo come una grande
cicatrice che ricuce le ferite, ti "mantiene integro" lasciando,
però, un segno. Ma le cicatrici "filtrano" quel lato negativo,
"ruvido" che esiste, che incombe, fatto di ostacoli, problemi,
probabilmente fatto di ciò che non si vuole e che però fa parte della realtà.
Quest'ultima parte non può essere ignorata, nonostante esista in minor parte,
ma concorre alla formazione dell'insieme.
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